La risposta all'emergenza

Archivio fotografico ANPI nazionale - Patria indipendente

8 maggio 1976

 

All’indomani della scossa del 6 maggio il presidente del Consiglio dei ministri Aldo Moro affidò al presidente della Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia, Antonio Comelli, la delega per la gestione della ricostruzione. Prima di allora lo Stato non aveva mai attribuito simili competenze a una regione, decidendo di mantenere la sola gestione dell’emergenza attraverso la nomina del sottosegretario all’Interno, Giuseppe Zamberletti, a Commissario straordinario di Governo.

Il 7 maggio il commissario si insediò dunque in prefettura a Udine, dove allestì il quartier generale per l’organizzazione degli interventi e la distribuzione degli aiuti sul territorio. Zamberletti volle al suo fianco quattro vicecommissari, i prefetti di Udine, Domenico Spaziante, e Pordenone, Mario Arduini; il generale Mario Rossi, comandante della divisione Mantova, e l’ingegner Alessandro Giomi, comandante nazionale dei Vigili del fuoco, per pianificare anche l’operatività dei Centri operativi di settore (Cos) che qualche giorno dopo istituì a Cividale, Gemona, Majano, Resiutta, Osoppo, San Daniele del Friuli, Tarcento, Tolmezzo e Spilimbergo (poi spostato a Pordenone). Ciascuno agiva in una decina di comuni per un totale di 40 mila abitanti.

Alle attività dei Cos, coordinate direttamente dal commissario, parteciparono i sindaci, rappresentanti della Regione, ufficiali delle Forze armate e di tutte le forze impegnate sul territorio. Nonostante molti sindaci fossero in carica da un solo anno, quindi con poca esperienza alle spalle, e risultassero sprovvisti di strumenti tecnici adeguati a fronteggiare un tale stato emergenziale, Zamberletti comprese immediatamente il ruolo che potevano svolgere nella valutazione dei bisogni delle loro comunità, ma andavano supportati almeno nella logistica, e per farlo affiancò a ogni sindaco un comandante militare. Definita l’organizzazione, si procedette dunque ad affrontare una situazione che era, per tutti, di assoluta novità.

La situazione era molto critica anche sul piano sanitario: molti ospedali, tra cui quelli di Gemona, Tolmezzo e San Daniele, erano per buona parte inagibili e il polo sanitario di Udine svolse una funzione di assistenza essenziale, ricoverando nei primi quattro giorni oltre 700 pazienti. Nel 1976, come osservò Franco Perraro, primario della Medicina d’urgenza del nosocomio udinese, la Regione non vantava un’omogeneità operativa sotto il profilo ospedaliero, ma poté contare sulla mobilitazione di numerosi infermieri e medici provenienti da tutta Italia e dall’estero. Venne inoltre adottata una scheda sanitaria di emergenza contenente i vari dati sulla generale situazione dei feriti così da agevolare la pianificazione di idonee misure organizzative.

Il 25 luglio 1976, giorno in cui Zamberletti ultimò l’incarico commissariale, terminò la prima fase dell’emergenza a favore di un lento ritorno alla normalità. Nonostante lo spirito del fasin di bessoi (facciamo da soli) e sebbene la regione si fosse attivata subito per riparare gli edifici danneggiati (Legge Regionale 17, del 7 giugno 1976), alla fine di agosto cominciò a diffondersi tra i terremotati il timore di dover trascorrere l’inverno in tenda. I tempi per la realizzazione del piano di alloggi prefabbricati, che prevedeva l’installazione di migliaia di casette destinate a ospitare circa 30 mila persone rimaste senza casa, erano stati sottostimati. I terremotati protestarono, sfilarono davanti ai palazzi della Regione, fecero sentire le loro voci ormai certi che lo slogan dalle tende alle case era diventato improponibile.

Ogni certezza e ogni speranza caddero l’11 e il 15 settembre quando l’Orcolat - la tradizione popolare identifica il terremoto con un mostro aberrante che vive nelle viscere della terra - si fece risentire, distruggendo molto di ciò che era rimasto in piedi dopo le scosse di maggio, comprese le riparazioni già effettuate. Il Friuli ripiombò nello stato d’emergenza. Celebre in tal senso una dichiarazione di monsignor Alfredo Battisti, al tempo arcivescovo di Udine: «Il terremoto del 6 maggio ha demolito il Friuli; quello di settembre ha demolito i friulani. Il primo ha distrutto le case ma ha lasciato la speranza; il secondo sembra aver intaccato anche la speranza».

Le numerose scosse registrate a settembre accorciarono i tempi per l’ormai inevitabile nuova nomina del Commissario straordinario a cui, rispetto a maggio, vennero assegnati maggiori ed eccezionali poteri. Zamberletti rientrò in Friuli il 13 settembre, due giorni prima del nuovo terremoto, che sorprese anche la commissione parlamentare giunta in visita nell’area disastrata. Richiamati i vicecommissari e riattivati i Cos., il commissario si ritrovò a organizzare l’esodo di oltre 32 mila persone verso le località di villeggiatura dotate di strutture ricettive, come Grado, Lignano, Bibione, Caorle, Jesolo, Ravascletto e altri comuni della Carnia. Qui vennero istituiti i Dipartimenti assistenziali che operavano in stretto dialogo con i Centri operativi presenti nelle zone di provenienza dei terremotati, ai quali vennero garantiti un alloggio, l’assistenza sociosanitaria e servizi territoriali, come l’apertura di farmacie fuori stagione, collegamenti diretti con le località di provenienza, linee di trasporto gratuite, agevolazioni economiche per l’acquisto di beni di prima necessità e attività scolastiche in 196 classi per 3 mila 500 alunni. Era un modo per mantenere unite le comunità nelle città ospitanti, assicurando loro tutti i servizi per il tempo necessario ad allestire villaggi provvisori, prefabbricati.

Fu una corsa contro il tempo. Il commissario dovette mettere in campo soluzioni adeguante anche per i senzatetto impossibilitati a trasferirsi altrove. Fra questi i contadini, obbligati a fermarsi per badare al bestiame, gli addetti a lavorazioni a ciclo continuo e gli anziani, emotivamente affezionati ai luoghi d’origine. Circa 3 mila persone rimanevano però in tenda nei diversi comuni terremotati e si apprestavano ad affrontarvi l'inverno. Zamberletti, assistito dalla Regione, dal ministero dell’Interno e dalle Prefetture, si attivò per reperire delle roulottes. Mediante acquisti diretti, un prestito solidaristico sottoscritto da privati e requisizioni temporanee furono complessivamente raccolte più di 5 milla roulotte in grado di garantire un totale di oltre 15 mila posti letto.

Il commissario si rese immediatamente conto che il piano regionale dei prefabbricati andava potenziato per accelerare il rientro dei friulani e non pregiudicare la stagione turistica 1977 nelle località che ospitavano terremotati. Fu così prevista la realizzazione di ulteriori 10 mila 500 alloggi in aree individuate dai comuni, e previo parere dei geologi chiamati a verificare l’idoneità del luogo. Furono installate 50 differenti tipologie di alloggi semipermanenti: containers monoblocco metallici, strutture con pannelli autoportanti o telaio modulare e prefabbricati in legno. I due programmi, per un totale di quasi 30 mila alloggi, vennero completati in nove mesi, con la messa in opera di oltre 2.600 unità abitative al mese. Nel montaggio di queste strutture vennero coinvolte imprese private, vigili del fuoco e uomini dell’Esercito, compresa l’Associazione nazionale alpini (Ana).

Sebbene Zamberletti avesse previsto il rientro dei terremotati entro il 31 marzo 1977, impegnandosi a restituire le strutture agli albergatori per l’inizio della stagione estiva, un lieve ritardo nella predisposizione dei 350 villaggi, in 91 comuni, ci fu. Il progressivo reinsediamento delle persone nei luoghi di provenienza e la relativa gestione commissariale si chiusero infatti definitivamente solo il 30 aprile di quell’anno, una data, per citare le parole dello stesso Zamberletti, «che segnò l’avvio del percorso della ricostruzione e registrò un commosso “arrivederci” tra i friulani e i tanti che avevano con loro condiviso una stagione angosciosa ma anche ricca di impegno e di fiducia nella rinascita».

Conclusa la seconda e ultima fase dell’emergenza, per la cui risoluzione vanno ricordate la solidarietà a livello internazionale e la decisiva importanza del decentramento degli interventi, i terremotati ristabilirono a piccoli passi un abituale stile di vita all’interno dei villaggi prefabbricati: gli eventi associativi, le esibizioni di gruppi musicali, le feste da ballo e i dibattiti animarono il trascorrere delle giornate. Il grande interrogativo, la grande questione di fondo ben presente sia alle comunità che agli amministratori e le autorità, era però come ricucire il contesto urbanistico e architettonico di un territorio colpito a fondo dal sisma.

R. Ronza, Friuli dalle tende al deserto? Scena e retroscena di una ricostruzione mancata, Milano, Jaca Book 1976; Sisma nel Friuli 6 maggio 1976. Studio sugli aspetti organizzativi, operativi e tecnici relativi all'opera di soccorso effettuata dal Corpo Nazionale VV.F. in occasione del terremoto nel Friuli del 6 Maggio 1976, voll. I-II, Roma, Servizio Documentazione e Relazioni Pubbliche 1976; L. Di Sopra, Il modello Friuli. Gestione dell’emergenza e ricostruzione del Friuli dopo il sisma del 1976, Udine, Amministrazione provinciale di Udine 1998; P. Gava, Friuli, quando l’Italia si scoprì capace d’aiuto, «Italia Caritas», 4, maggio 2006, pp. 17-21; I. Londero, Partecipazione e volontariato nel Friuli del Terremoto, in P. Nicita (a cura di) L’Aquila: questioni aperte. Il ruolo della cultura nell’Italia dei terremoti, Atti del convegno (Roma, 10 dicembre 2009), Albano Laziale, Iacobelli 2010, pp. 49-55; A. Battisti, Le confessioni di un vescovo, Pasian di Prato, Lithostampa 2012; G. Pellizzari, Il terremoto in Friuli. Il risveglio dell’Orcolat, Udine, Gaspari 2021; I. Londero, Il caso del Terremoto in Friuli (1976): Lor a jan dut, e non a rosea la crodie, in L' Italia e le sue regioni. L'età repubblicana. 4. Culture, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani 2015, pp. 419-429; G. Baiutti, Friuli 1976-2016. Dalla ricostruzione a un nuovo modello di sviluppo, Udine, Forum 2016; G. Ellero, Il Friuli modello, 1976-2016, [Coderno di Sedegliano], Istitut Ladin Furlan Pre Checo Placerean 2016; G. Zamberletti, Friuli 1976: la gestione dell’emergenza tra i terremoti di maggio e di settembre, «Bollettino di Geofisica Teorica ed Applicata», 60, 2019, pp. 9-16.