La prima messa in sicurezza e le puntellazioni

 

Il decreto 227 approvato dal Parlamento il 13 maggio 1976 si rivelò utilissimo a garantire la gestione dell'emergenza attraverso l’azione del Commissario straordinario di governo Giuseppe Zamberletti, giunto a Udine la mattina del 7 maggio. Lo stesso giorno partirono da Torino le prime colonne di soccorso dei vigili del fuoco, ancora impegnati a fronteggiare l’incendio nei capannoni produttivi della FIAT Mirafiori, uno dei tanti fatti connessi alla strategia del terrorismo di quegli anni. La colonna dei vigili del fuoco si mosse alla volta della prefettura di Udine, dove giunsero anche ditte e singoli artigiani muratori e falegnami da tutta la regione, che furono immediatamente coinvolti nell’opera di puntellamento dei fabbricati lesionati. Furono individuate delle priorità, come la riapertura di via Bini, la principale arteria del centro storico di Gemona, dove intervenne anche l'esercito austriaco.

Nella zona disastrata furono attivati i Centri operativi, organismi direttivi che intervenivano sotto la guida del sindaco e la sorveglianza del commissario Zamberletti. Nei comuni si formarono squadre di intervento, coordinate dai primi cittadini per lo sgombero delle strade e la messa in sicurezza degli edifici: nelle prime settimane operarono un migliaio di vigili del fuoco, personale dell’esercito, gli alpini in congedo - nel corso dell’estate oltre 15 mila ex penne nere si alternarono a svolgere qui le loro ferie - e migliaia di volontari, di cui 7 mila scout, giunti da tutta Italia. Anche in presenza di rilevanti danni al patrimonio edilizio, amplificati dalle particolari condizioni del suolo e dalla posizione dei paesi colpiti, spesso vetusti e collocati in cima ad alture, i Centri operativi riuscirono a garantire il supporto necessario alla messa in sicurezza dei luoghi. Gli ufficiali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco verificarono la tenuta delle strutture edilizie e delle infrastrutture danneggiate, assicurando le necessarie demolizioni e le prime puntellazioni, impiegando centinaia di mezzi.

I manuali e le dispense didattiche per la formazione dei vigili del fuoco trattavano la messa in opera dei puntelli come la principale tipologia d’intervento provvisionale nell’emergenza sismica. I vigili del fuoco avevano già collaudato questo tipo di operazioni nella gestione delle emergenze provocate dai terremoti di Messina nel 1908, di Avezzano nel 1915, di Aquilonia e Lacedonia nel 1930 e del Belice nel 1968. Attraverso le puntellazioni venivano create strutture di sostegno temporanee con travi di legno o materiali strutturali, in grado di stabilizzare le pareti o altri elementi edilizi portanti e pericolanti. Questi primi interventi si rivelarono necessari per evitare ulteriori danni, consentire ai soccorritori di raggiungere persone intrappolate sotto le macerie e di recuperare i loro beni. Spesso venivano eseguiti poche ore dopo le scosse, anche grazie alla collaborazione di imprese edili locali che misero a disposizione l’esperienza e la professionalità dei loro tecnici e delle loro maestranze.

Fu un’azione che consentì di salvare vite umane, evitare ulteriori crolli, preservare il patrimonio culturale e storico del Friuli, e che si rivelò fondamentale per contenere gli effetti devastanti delle forti scosse di settembre. Le prime puntellazioni diventarono il simbolo di una risposta immediata, sicura e qualificata del Friuli, oltre che della solidarietà diffusa che si attivò dopo il terremoto.

Benché già all’epoca fossero note numerose tipologie d’intervento, come la puntellatura di ritegno o di contrasto in legno, quella di sostegno di solai e balconi, la sbadacchiatura delle aperture, la centinatura in legno di archi e volte, le cerchiature e le tirantature, si preferì riservare molti di questi interventi alla successiva fase di consolidamento delle strutture. Alcune delle squadre presenti nei comuni disastrati, composte da capaci carpentieri, ampliarono poi il catalogo degli interventi provvisionali facendo ricorso ad una nuova soluzione, che prevedeva l’impiego di tiranti metallici e di travi di legno con funzione di elemento di ritegno, come indicato nello schema (qui) riportato.

Durante la prima fase commissariale (dal 7 maggio al 25 luglio 1976) venne avviata anche una prima schedatura e una stima preliminare dei danni subiti dagli edifici e dai loro elementi strutturali. Furono censite e monitorate con apposite schede di rilevazione le lesioni subite dalle costruzioni, con il fine di realizzare una banca dati omogenea e tracciabile, utile sia per distinguere e classificare le diverse caratteristiche strutturali degli edifici che per indicare le soluzioni possibili per la loro messa in sicurezza. Si trattò di un’operazione imponente, di cui per anni si parlò nell’ambito del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Facendo tesoro dell’esperienza maturata in Friuli, il Dipartimento della protezione civile nazionale, sorto nel 1982,  elaborò, nel 1997, una scheda e un manuale, poi informatizzati, per intervenire nei territori terremotati dell'Umbria e delle Marche, e per gestire tutte le emergenze sino al terremoto dell’Aquila del 2009.

A L’Aquila è stato istituito l’attuale nucleo Nucleo coordinamento opere Provvisionali del Cnvvf (Ncp) e predisposto dal Ministero dell’interno il Vademecum STOP – Schede tecniche delle opere provvisionali per la messa in sicurezza post-sisma da parte dei Vigili del Fuoco (2010), una nuova sintesi di tutte le esperienze sino ad allora maturate, contenute in un manuale di opere provvisionali per l’intervento tecnico urgente nelle emergenze sismiche. Quel modello sperimentato sul campo consente ancora di garantire uniformità negli interventi provvisionali effettuati dai vigili del fuoco e monitorarne lo stato d’avanzamento. Le schede inserite nel Vademecum consentono, infatti, di eseguire le opere provvisionali in emergenza di progettare gli interventi e di predisporre il computo a piè d’opera del materiale necessario alla realizzazione delle opere.

Il Nucleo si è avvalso del supporto scientifico del professor Stefano Grimaz dell’Università degli studi di Udine, il quale, forte della sua esperienza friulana, ha coordinato uno specifico gruppo di lavoro che a luglio 2014 ha dato corpo ad una versione aggiornata della “Scheda Aedes per il rilevamento dei danni, pronto intervento e agibilità per edifici ordinari nell’emergenza post-sismica” e del relativo manuale di compilazione.

Facendo tesoro dell’esperienza così maturata, presso l’Ateneo friulano è nato il laboratorio di Sicurezza e protezione intersettoriale (Sprint). Il 7 maggio 2016, poi, a quarant’anni di distanza dal sisma, la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia assieme a Protezione civile, Corpo nazionale dei vigili del fuoco, Università degli studi di Udine, Associazione dei comuni terremotati e dei sindaci della ricostruzione del Friuli e Comune di Venzone hanno siglato un accordo per l’attivazione della Scuola internazionale di formazione in materia di gestione della risposta in emergenza sismica (International training school in seismic emergency response management), denominata “SERM academy”, che ha un campo di addestramento nella frazione di Portis vecchio di Venzone, uno dei luoghi simbolo del terremoto del 1976. Più recentemente, sempre all'Università degli studi di Udine, è stata istituita una cattedra Unesco in Sicurezza intersettoriale per la riduzione dei rischi di disastro e la resilienza.

S. Grimaz (a cura di), Manuale opere provvisionali. L’intervento tecnico urgente in emergenza sismica, Roma, Corpo nazionale dei vigili del fuoco 2010; S. Grimaz et al., Vademecum STOP : schede tecniche delle opere provvisionali per la messa in sicurezza post-sisma da parte dei vigili del fuoco : raccolta delle schede tecniche delle opere provvisionali, Milano, Tipolitografia INAIL 2010; “II vigili del fuoco hanno visto e hanno pianto”. 6 maggio 1976 il sisma che sconvolse il Friuli, in «Quaderno di Storia Pompieristica» 5 (2021).