I soccorsi

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8 maggio 1976

 

Il sisma colpì un’area di circa 5 mila 500 chilometri quadrati della media valle del fiume Tagliamento e distrusse 137 comuni, soprattutto delle province di Udine e Pordenone, interessando una popolazione complessiva di circa 500 mila abitanti.

La notte del 6 maggio i soccorritori si trovarono di fronte ad un paesaggio irriconoscibile fatto di case crollate, morti e feriti. Le prime colonne di soccorsi partirono immediatamente: due ore dopo la scossa i militari avevano già raggiunto le prime località. Centinaia di giovani da tutta la regione si precipitarono con ogni mezzo, anche a piedi se le strade erano interrotte, nei luoghi colpiti. Si formarono sul posto squadre coordinate dai sindaci e composte da vigili del fuoco, dall’esercito, dagli alpini. Subito bisognò individuare ed assistere i feriti, poi furono prioritari gli interventi di messa in sicurezza delle case e lo sgombero delle strade. I primi soccorsi furono rapidi, ma inevitabilmente non organizzati, anche perché tutte le linee elettriche e telefoniche furono messe fuori uso. Solo durante la notte, grazie all’aiuto dei radioamatori, ci si rese conto di quale fossero l’entità del danno e il grado di distruzione provocato dal sisma.

Il 7 maggio arrivò a Udine Giuseppe Zamberletti, nominato Commissario straordinario dall’allora presidente del Consiglio dei ministri Aldo Moro, come prevedeva la legge 996 dell'8 dicembre 1970 (Norme sul soccorso e l’assistenza alle popolazioni colpite da calamità). Da subito il governo regionale e i sindaci dei comuni danneggiati lavorarono a stretto contatto con il Commissario: il primo coordinamento dei soccorsi venne affidato ai vigili del fuoco, già coinvolti dal 1970 nella pianificazione dei soccorsi e dell’assistenza verso popolazioni colpite da calamità. Si occuparono di smistare le varie squadre, della prima distribuzione di viveri, strumenti di cura, materiale di conforto, seguendo le tabelle e le mappe affisse in prefettura a Udine che indicavano i comuni danneggiati e il fabbisogno di medici, ambulanze, farmaci, tende, generi alimentari e indumenti. Si trattò di garantire fin da subito oltre 70 mila pasti al giorno.

Si mossero immediatamente anche la Croce rossa italiana (Cri) e la Croce verde di Torino. Già nella notte tra il 6 e il 7 maggio il direttore generale della Cri giunse a Udine, attivò immediatamente i comitati e i sottocomitati dell’associazione, avviò una raccolta fondi e allertò i Centri di mobilitazione dei Corpi militari e delle infermiere volontarie. Da Milano, Venezia, Roma, Bergamo e Torino partirono autoambulanze, camion frigorifero e altri carichi di tende, coperte, lettini da campo. Partirono anche 30 roulottes grandi attrezzate per il trasporto di plasma e medicinali, con particolare attenzione all’insulina, ai sieri e ai vaccini. Nei tre giorni successivi al sisma i sanitari della Cri vaccinarono circa 90 mila persone e, in base ad una convenzione stipulata con la Regione, gestirono la distribuzione e la consegna dei materiali di prima necessità nei comuni più colpiti. In tutta Italia la Cri allestì depositi di viveri a lunga conservazione, pronti per essere distribuiti. Le salme furono tumulate per evitare epidemie e il personale della Croce rossa, in collaborazione con il ministero dell’Interno, eseguì la schedatura dei morti, dei dispersi e dei feriti.

Nei giorni successivi alla scossa giunsero anche dalle altre regioni medici e personale specializzato: fu subito garantita alle comunità una prima assistenza sanitaria. Quasi mille vigili del fuoco si alternarono sul territorio, con al loro fianco migliaia di giovani volontari, di cui circa 7 mila scout. Gli ufficiali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, con centinaia di mezzi, verificarono la tenuta e la possibile messa in sicurezza delle strutture danneggiate dalle scosse. Nonostante l’elevata sismicità della regione fosse nota, molti dei comuni danneggiati, tra cui Buja, Gemona ed Osoppo, non erano mai stati classificati come sismici. Ci si rese subito conto che oltre ai danni provocati al patrimonio edilizio abitativo, quello al tessuto industriale rischiava di mettere in ginocchio il territorio: oltre 15 mila lavoratori avrebbero perso il proprio posto di lavoro in fabbrica

Così Zamberletti avrebbe ricordato le difficoltà della prima ora: «Pur avendo nelle Prefetture, e in particolare in quella di Udine, un naturale punto di riferimento, la carenza o l’imprecisione delle informazioni sulla reale dimensione dell’evento e la sua estensione territoriale, fu alla base delle difficoltà e della confusione della prima ora. Grazie alla presenza in zona (per tutt’altre ragioni) di consistenti contingenti delle Forze Armate, non si ebbe tanto un problema di rapido afflusso di strutture operative, quanto di incertezza iniziale sulle direzioni da far prendere alle colonne di aiuti che arrivavano e sui criteri da assumere per la loro distribuzione. […] Dal momento in cui mi insediai presso la Prefettura di Udine, dovetti quindi immaginare immediatamente lo scenario operativo che si rendeva necessario sia per riorganizzare il caos iniziale […]».

In meno di un mese furono allestite 252 tendopoli, poi ridotte a 184, per un totale di 17 mila tende con relativi servizi igienici, luce elettrica e rifornimento idrico. A queste si aggiunsero un migliaio di nuclei minori sparsi sul territorio: complessivamente vennero creati oltre 116 mila posti letto. Nella prima fase prevalse la scelta di allestire delle tendopoli, piuttosto che procedere ad un esodo immediato, e non solo per la volontà popolare di restare in zona e non incentivare lo spopolamento dei paesi, ma anche per l’assenza, in quel momento, di dati reali sulla ricettività delle zone costiere. Con il passare dei giorni e con il susseguirsi delle scosse di assestamento ci si rese conto, tuttavia, che per la creazione delle tendopoli era necessario scegliere aree sicure, lontane da strutture edilizie danneggiate. Furono demoliti oltre 2 mila edifici pericolanti compresi, con gli esplosivi, alcuni grandi manufatti; fu effettuato lo smassamento di quello che restava delle case, dei fienili, delle stalle, sgomberate dai detriti le vie dei centri storici, rimesse in funzione reti fognarie, elettriche ed idriche.

I numeri di questa prima fase di intervento parlano da soli: furono ripristinati 314 km di viabilità, ricostruiti 8 ponti, rimossi oltre 1 milione 800 mila metri cubi di macerie e 540 di frane. L’intervento coinvolse oltre 14 mila soldati, furono distribuiti 64 tonnellate di medicinali, vennero utilizzati oltre 2.600 automezzi, almeno 216 cucine da campo, 60 serbatoi d’acqua e altrettante ambulanze, 430 autobotti, decine di bagni completi da campo; 64 elicotteri furono impiegati affinché interi agglomerati urbani non rimanessero isolati soprattutto nell’alta Carnia.

Essenziale fu il contributo e il supporto delle forze armate straniere: svizzeri, tedeschi, austriaci, francesi, americani e canadesi, di cui va ricordato il capitano pilota Ronald Mc Bride che durante un’operazione di soccorso precipitò con l’elicottero nella valle del torrente Leale nel comune di Trasaghis. L’Aeronautica militare assicurò un ponte aereo, mentre la Marina militare inviò alcuni elicotteri da La Spezia e da Ancona; da Taranto partì la nave Grado diretta a Trieste. La Marina, già dalla notte del 6 maggio, mobilitò la colonna mobile del Gruppo operativo incursori di Comsubin e l’ospedale militare marittimo di La Spezia Bruno Falcomatà con il suo ospedale da campo, che venne allestito a Buja e si rivelò fondamentale per garantire assistenza ai feriti. Altrettanto fondamentali si rivelarono le cucine mobili del Gruppo operativo incursori, i cui cuochi preparavano 1200 pasti al giorno per i ricoverati e per tutti coloro che non avevano la possibilità di provvedere per sé e per le proprie famiglie.

Verso la fine di giugno si cominciò a registrare una certa ripresa dell’attività economica e industriale, dovuta soprattutto ai finanziamenti regionali: molti stabilimenti ripresero le loro attività anche grazie al fatto che la Regione intervenne nei settori della ripresa economica e produttiva, nell’edilizia pubblica e scolastica, nella promozione del settore agricolo e zootecnico e persino nella valorizzazione turistica del Friuli. I problemi sanitari erano ormai sotto controllo, i servizi, la viabilità stradale, le comunicazioni telefoniche, telegrafiche e postali, erano state ripristinate così come la distribuzione di acqua potabile e di energia elettrica.

Nell’estate la situazione appariva così stabilizzata, la macchina del soccorso e dell’assistenza rodata, collegata ai Cos ed ai centri operativi delle diverse forze. La primissima fase dell’impatto con il sisma e con i suoi effetti sulla popolazione e sul territorio terminò il 25 luglio, quando il Commissario straordinario lasciò il Friuli; il secondo periodo che seguì fu invece segnato dall’assistenza ai senzatetto nelle tende e nelle roulottes e dall’avvio della riparazione degli edifici.

R. Ronza, Friuli dalle tende al deserto? Scena e retroscena di una ricostruzione mancata, Milano, Jaca Book 1976; Sisma nel Friuli 6 maggio 1976. Studio sugli aspetti organizzativi, operativi e tecnici relativi all'opera di soccorso effettuata dal Corpo Nazionale VV.F. in occasione del terremoto nel Friuli del 6 Maggio 1976, voll. I-II, Roma, Servizio Documentazione e Relazioni Pubbliche 1976; A. Barbina, Con le sole mani. Cronaca dal 6 al 13 maggio 1976, Trieste, Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia 1977; P. Gava, Friuli, quando l’Italia si scoprì capace d’aiuto, «Italia Caritas», 4, maggio 2006, pp. 17-21; G. Pellizzari, Il terremoto in Friuli. Il risveglio dell’Orcolat, Udine, Gaspari 2021; I. Londero, Il caso del Terremoto in Friuli (1976): Lor a jan dut, e non a rosea la crodie, in L' Italia e le sue regioni. L'età repubblicana. 4. Culture, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani 2015, pp. 419-429; G. Baiutti, Friuli 1976-2016. Dalla ricostruzione a un nuovo modello di sviluppo, Udine, Forum 2016; G. Ellero, Il Friuli modello, 1976-2016, [Coderno di Sedegliano], Istitut Ladin Furlan Pre Checo Placerean 2016; G. Zamberletti, Friuli 1976: la gestione dell’emergenza tra i terremoti di maggio e di settembre, «Bollettino di Geofisica Teorica ed Applicata», 60, 2019, pp. 9-16.